giovedì 28 febbraio 2013

Cose inutili

Istruzioni per l'uso:
quest'anno Sanremo 
sembra 
aver prodotto 
canzoni su misura.
Quando si dice il caso.

Il tempo passa veloce quando gli occhi sorridono e le tue labbra mostrano stupore e felicità.
I visi sono più belli quando sono rilassati e curiosi.

Sono giorni strani questi.
I minuti scorrono e le mie idee volano via appena arrivo qui davanti e trovo un foglio bianco.
Virtuale e bianco.
Niente è più come prima.
Parlare di quello che mi sta succedendo non sembra più bello e raccontabile.
I soliti argomenti, le solite cose, sono stanca.
M'invento ma la mia originalità sembra essersi nascosta.
Sono triste e dispiaciuta.
Mi hanno detto: "Leggi!" ho risposto: "Già lo faccio!".

Sono stanca, la mia mente è stanca, sta cercando di capirsi, di resistere, di buttare via l'inutile.
Tutti abbiamo cose inutili in casa: l'apribottiglie riportato da un posto sconosciuto, la calamita, il pettine di legno finto che ci ostiniamo a credere sia di bambù, la raccolta di cartoline, le bustine di zucchero, gli scontrini perchè non si sa mai dovessi cambiare la camicia comprata nel 2000.
E poi ci sono i tappi di plastica e i copri chiave colorati in silicone che solo dio sa perché fanno le confezioni da cinquecento pezzi. Una sola chiave devo riconoscere, mica posso distribuirle a tutto il paese!
E poi ci sono i calzini e tutto l'intimo che non metterai mai, regalato da chissà quale pazzoide o dalla nonna, perchè non è Natale senza le mutande rosse.
Tendiamo ad accumulare cose di dubbia utilità.
Tendiamo a non staccarci da persone che solo con lo sguardo ci fanno male.
Serve pulizia e vuoto per far spazio alle novità.
Serve chiudere le porte per incontrare gente nuova.
Serve chiudere il capitolo per cominciarne uno nuovo.

Le persone hanno bisogno di me.
La Susi, invece, molto spesso ha bisogno di una sola persona che sta sera ha la febbre.
39,7 per l'esattezza.


I giorni passano e noi due siamo più di ieri e meno di domani.
E' una questione di matematica.
E pensare che io non l'ho mai capita, forse non volevo.
Un po' come noi due.






lunedì 11 febbraio 2013

Le donne nelle stazioni

Istruzioni per l'uso:
è la mia collezione privata,
ascoltala,
gelosamente racconta
 momenti importanti.



"Doveva essere un gioco."
"Un gioco?"
"Si, un gioco."

Così il dolore al collo e alla spalla se n'è andato via, si è sciolto come il gelato dentro la mia borsa vicino al termosifone.
Sembrava un film dell'orrore.
Quaranta minuti di lacrime, sbloccate da un abbraccio e da un dolore non troppo fisico ma piuttosto mentale.
Un gioco che dura due anni può diventare rischioso se ogni volta che vi incrociate, il vostro sguardo si blocca l'uno sull'altro e il resto del mondo diventa inutile.

"Si chiama: attrazione fatale."
"Si chiama farsi del male a gratis."
"Come ti pare."

I momenti passano, gli occhi si arrossano, l'invidia ammazza te e chi ti sta attorno, i capelli si arruffano e tu sei talmente presente che non posso chiamarti passato.
Rassegnarsi all'idea della presenza, sembra l'unica soluzione.
Nevica e tu lavori mentre io sto cercando d'inventarmi qualcosa per tenermi occupata.

Faccio colloqui, indosso la giacca portafortuna e misuro la mia adrenalina. 
Prendo confidenza per le grandi occasioni. 

Per fortuna niente mi elettrizza come il pensiero della bellezza che sprigionano le tue mani quando toccano i miei pensieri e si bagnano di lacrime.
Sincerità negli occhi eppure ancora non ti ho convinto, così sfuggi. 
Scappi fino al tuo ufficio e ti nascondi dietro alle due parole che ho imparato a conoscere: "Incasinato. Gente." Solo lì sei l'uomo che controlla tutto, che sa cosa fare, mentre con me, no.
Raccontarti stronzate, incolparti, arrabbiarti e nasconderti non farà di me il tuo passato e lo sai.  Credevo d'esser io la marionetta invece... 

E' una bella giornata di Febbraio, fuori i fiocchi cadono leggeri.
I miei occhi s'arrossano pensando a qualcuno che senza interesse s'assicura che tu stia bene e t'abbraccia se sa che sei triste.
Ho trovato una famiglia, un'altra.
Questa famiglia ti copre le spalle, sempre.


lunedì 4 febbraio 2013

Ho perso un guanto

Istruzione per l'uso:
non lo so,
cercavo qualcosa di dolce,
malinconico,
tranquillo.


Passare dai calzettoni di lana e pantofole calde, alle calze ricamate e tacco, è altamente pericoloso se pensi di aver bisogno di respirare aria fresca e se soprattutto è Febbraio e fuori ci sono sedici gradi.

Non c'ho pensato tanto, ho guardato l'orario e con un braccio già dentro il vestito e un piede smaltato ero in macchina.

"Vado alla presentazione del libro e poi non so, non torno tardi!"
"Tardi, cosa vuol dire?"
"Che torno presto."
"Hai ancora mal di testa?"
"Un po', ma mi passerà."
"Copriti che è freddo."
"Mamma! Sono 16 gradi! Secondo te? Come sto?"
"La mamma certe cose le sa! E stai bene, perfetta."

Così, sono volata via. E mentre respiravo aria calda di Febbraio, riflettevo a quanto non posso lasciare questi posti, queste colline, queste strade e questi paesaggi.
Avevo le labbra dipinte di rosa, una rosa lucida. 
Mentre le nuvole mi passavano affianco e i campi incolti si disperdevano sotto il mio sguardo, mi son chiesta se quando sarai qui o sarò lì, sarà la stessa cosa. 
Se riuscirò ad uscire da sola con la città. 
Se sarò in grado di camminare con i miei tacchi e fermarmi a leggere le vetrine alle ventidue di un venerdì sera, senza aver paura.

Pesaro è grande ma non abbastanza da averti qui e forse nemmeno la tua città è abbastanza grande per me. Ho smesso di chiedermi come sarà, immagino e spero che il destino non si fermi qui e continui a portarci avanti in una danza decisa e dolce.

Vado in macchina senza radio, è rotta, allora canto. Parcheggio e intanto passo lì davanti, incrocio lo sguardo, sorrido e prometto di tornare, dopo la presentazione.
Ascoltare il corpo, lasciar andare la razionalità che voleva tenermi a casa "perché tanto non c'è nessuno" è stata la cosa più intelligente che potessi fare in questo periodo di cambiamenti.

Ascoltare i nuovi autori, guardare visi in protesta e una sala vuota, mi ha lasciato un dolce sapore in bocca.

Sapore coccolato da un vino bianco fermo e fruttato. La serata è cominciata così con un'amica che va a teatro e io che mi fermo ancora a bere vino bianco da sola, in un simpatico bar del centro.
Rido, mi tengo compagnia e decido di chiamare qualcuno.
Aspetto, scrivo e sorrido.
Musica assordante con vicini di tavolo che mi guardando curiosi di leggere e capire la mia solitudine. Una ragazza mi sorride, ricambio e continuo a scrivere. 
Un uomo curioso chiede e mi da appuntamento, proprio quando l'altro ha risposto e detto: "un'ora e arrivo.".
Sorseggio e penso che forse una passeggiata fino al mare mi avrebbe fatto bene. E così faccio. Cammino, leggo le vetrine, sistemo il trucco e cammino ancora. Mi siedo nella panchina più scomoda per respirare l'aria di mare e sentire il suo rumore, non vuole lasciarmi sola e sbatte le sue onde sugli scogli.
Musica classica si diffonde nell'aria, esce dall'albergo, mi fermo ad ascoltarla e un signore mi scopre, tra un tiro e l'altro della sua sigaretta, mi parla.

"Una signorina con un paio d'occhi così, cosa ci fa qui sola?"
"Aspetto e ascolto."
"Le posso offrire un bicchiere di vino? Ha voglia di entrare?"
"No grazie, non voglio disturbare."
"Entri perfavore, non è freddo ma non posso lasciarla qui sola e io devo lavorare."
"Si, forse ha ragione."
"Le dica che è qui a quell'uomo che aspetta e appena arriva, le prometto che la lascerò andare."

Sorrido ed entro scortata da un pinguino-barman che mi offre del vino bianco.
Parliamo, gli racconto e mi chiede come mai la canzone che sta uscendo dalla filodiffusione mi fa incantare.

"E' solo il buon vino."
"Non è vero. Lei s'intende."
"Un vecchio amore, che sembra tornare."
"...la danza classica?"
"Esatto. Le scarpette con le punte e i mille vestiti di tulle. Credo di sentirne la mancanza."
"E perché non ricominciare?"
"Perché non lo so."

Così l'uomo arriva, interrompe una chiacchierata, sorrido, ringrazio, faccio un inchino e raggiungo il mio appuntamento ritardatario seduto sulla mia stessa panchina scomoda.

"Tra le tante, hai scelto quella più scomoda!"
"Così camminiamo."

Nessuno può capire quanto belli siano, il mare e la Palla di Pomodoro, alle ventidue.
Due anni, son passati da momenti come questo e in questa serata si respira sincerità tra noi.
Parlavi, ridevo, parlavi, facevi il difficile, cercavi contatto e ridevo.
Il lago, la settimana sul monte, una birra e i compagni di una vita che cambiano.

Noi che ci salutiamo con un abbraccio, promesse che non manteniamo nè adesso nè domani. 

"T'accompagno alla macchina?"
"No, grazie. Faccio due passi."
"Ehi, grazie per avermi fatto uscire."
"Di niente, avevo bisogno di te."

"Ciao ragazzo."
"Ti chiamo domani."
"Ciao!"

Chiamo l'amica e torno a casa ubriaca di ricordi e di sorrisi.
Senza un guanto.

domenica 3 febbraio 2013

Sinteticità

Pioggia, saluti e sorrisi.
Ho voglia di te e di me nello stesso letto mentre fuori piove.
Il vetro bagnato e il piumone caldo.
Copriti di me.
Silenzio.
Ho voglia di noi due.